IDRATAZIONE E SPORT DI FONDO

la questione della idratazione negli sport di fondo e’ un problema affrontato periodicamente dai preparatori e dai nutrizionisti di squadre o atleti.

Questo studio mette a confronto runners che corrono meno di un ora con quelli che corrono piu di ora. Per coloro che corrono tempi brevi e inferiori all’ora e’ molto piu’ importante la dieta e la idratazione nei giorni precedenti e preallenamento, per coloro che corrono piu di un ora e’ anche fondamentale per evitare che la disidratazione superi il 2% del peso corporeo, la idratazione durante la prestazione.

Questo studio mette inoltre in evidenza che gli equilibri elettrolitici e la distribuzione dei liquidi nel corpo rilevabile con impedenziometria possono variare di molto tra individui. Essendo ogni atleta diverso in termini di produzione ormonale, temperatura corporea di base, gestione della temperatura interna, sudorazione e dieta. Una valutazione quindi personalizzata e’ importante soprattutto per i runner di lungo periodo.

https://journals.humankinetics.com/view/journals/ijsnem/32/4/article-p233.xml

Conclusion on Creatine use on sport by ISSN

It is the position of the International Society of Sports Nutrition that the use of creatine as a nutritional supplement within established guidelines is safe, effective, and ethical. Despite lingering myths concerning creatine supplementation in conjunction with exercise, CM remains one of the most extensively studied, as well as effective, nutritional aids available to athletes. Hundreds of studies have shown the effectiveness of CM supplementation in improving anaerobic capacity, strength, and lean body mass in conjunction with training. In addition, CM has repeatedly been reported to be safe, as well as possibly beneficial in preventing injury. Finally, the future of creatine research looks bright in regard to the areas of transport mechanisms, improved muscle retention, as well as treatment of numerous clinical maladies via supplementation.

https://link.springer.com/article/10.1186/1550-2783-4-6

ALTERAZIONI MINERALI INDOTTE DA FARMACI

I cambiamenti più comuni sono quelli riguardanti potassio, sodio, magnesio, ferro, calcio, zinco e rame. In effetti, alcuni farmaci possono aumentare l’escrezione di potassio e la ritenzione di sodio, o ridurre l’assorbimento o il rilascio di iodio, ridurre l’assorbimento di ferro e zinco e aumentare i livelli di rame.

L’ipopotassiemia è frequentemente associata ai diuretici (diuretici dell’ansa e tiazidici), stimolanti β-adrenergici o agenti lassativi, così come alcuni anticorpi monoclonali usati in oncologia. L’iperkaliemia può verificarsi anche durante la terapia con inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone , ACE-inibitori, bloccanti del recettore dell’angiotensina II (ARB), antagonisti del recettore dell’aldosterone, β-bloccanti, agenti antinfiammatori non steroidei (FANS), eparine , immunosoppressori (es. tacrolimus, ciclosporina), corticoidi minerali e glucocorticoidi, digossina

Un certo numero di farmaci può causare ipomagnesiemia [1]

I farmaci antibatterici, come le tetracicline, formano un complesso insolubile con cationi metallici; gli antiacidi abbassano il pH gastrico e causano una sottoregolazione del trasportatore intestinale attivo per il magnesio TRPM6, mentre i tiazidici e i diuretici dell’ansa impediscono il riassorbimento del magnesio a livello renale. Alcuni agenti antineoplastici (es. Cisplatino) e pillole anticoncezionali causano un aumento dell’escrezione renale di magnesio. Infine, anche gli inibitori della calcineurina e i leganti intestinali del fosfato a base di ferro sono associati all’ipomagnesiemia [2].

La carenza di ferro invece può essere dovuta a un ridotto assorbimento, causato principalmente da antibiotici come tetracicline e chinoloni e da farmaci antisecretori gastrici, ovvero antagonisti dei recettori PPI e H2. La secrezione acida gastrica, infatti, facilita l’assorbimento del ferro libero, consentendo la sua conversione nella forma ferrosa più assorbibile di quella ferrica; quindi, nel ridurre l’acidità gastrica, l’assorbimento alimentare di questo minerale è meno efficiente.

Una condizione di ipocalcemia può essere il risultato di quattro diverse condizioni : ipoparatiroidismo, ipovitaminosi D, agenti leganti il ​​calcio o alterato riassorbimento osseo. I farmaci più spesso associati all’ipocalcemia sono i diuretici dell’ansa (per una maggiore escrezione di calcio), agenti chelanti (es. etilendiamminotetracetato, citrato, fosfato), farmaci antineoplastici (es. cisplatino, leucovorin, 5-fluorouracile, nab-paclitaxel, axitinib), bifosfati, calcitonina e denosumab (un anticorpo monoclonale usato per trattare l’osteoporosi).

  1. – Gröber, U. Magnesium and Drugs. Int. J. Mol. Sci. 2019, 20, 2094
  2. – Liamis, G.; Hoorn, E.J.; Florentin, M.; Milionis, H. An Overview of Diagnosis and Management of Drug-Induced Hypomagnesemia. Pharmacol. Res. Perspect. 2021, 9, e00829. 

NUTRIZIONE PREDITTIVA

genetica, diabete e sovrappeso dr. Marco Zanetti

Con la scoperta del Dna e la sua decifrazione completa, si sono sviluppati negli anni delle scienze predittive che analizzano le mutazioni genetiche che portano a sviluppare malattie se non corrette, utili ad esempio in gravidanza, ma anche test di predizione che analizzano piccole mutazioni presenti su determinati geni che determinano una maggiore predisposizione a sviluppare malattie e che solo un comportamento corretto e una azione di prevenzione potrà prevenire

Attraverso test genetici specifici si possono quindi adottare indicazioni alimentari specifici atti a rallentare l’insorgenza di possibili patologie. Ovviamente non si tratta di certezze. A volte anche se ci sono predisposizioni specifiche non sappiamo in quanto tempo e se svilupperemo la patologia. Inoltre attuare delle indicazioni alimentari specifiche potrebbe aiutare per lo meno a fare la cosa giusta per noi

Oggi parliamo da un punto di vista genetico delle predisposizioni al sovrappeso e al diabete, due problemi metabolici spesso correlati tra loro

METABOLISMO INSULINA

Il diabete è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) e dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina. L’insulina è l’ormone, prodotto dal pancreas, che consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel circolo sanguigno.

Il polimorfismo TCF7L2 (rs7903146) è stato associato ad un aumentato rischio di diabete di tipo II. Questo polimorfismo è associato a ridotta secrezione insulinica in soggetti a rischio di diabete. L’aumentato rischio sarebbe dovuto alla disfunzione b-cellulare ed all’alterato metabolismo delle incretine. Infatti, il TCF7L2 è un fattore di trascrizione nucleare che, quando è attivato, è capace di influenzare la differenziazione cellulare e di aumentare la produzione endogena dell’ormone GLP-1. Presenza allele T: possibile aumentato rischio per diabete tipo 2.

Il gene PPARG codifica invece per un recettore del glitazone che si trova soprattutto nelle cellule adipose. L’attivazione di PPARG aumenta la sensibilità all’insulina ed è implicato anche nello sviluppo degli adipociti. La presenza dell’allele G è associata a possibile predisposizione all’aumento di peso e rischio per il diabete tipo 2.

CONTROLLO DEL PESO

L’obesità è una malattia multifattoriale che ha una predisposizione genetica ma che necessita di condizioni

ambientali, abitudini, per manifestarsi. Il gene FTO (gene obesità-associato) svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del metabolismo lipidico e della lipolisi, cioè la capacità individuale di mobilizzare il grasso corporeo.

Numerosi studi hanno dimostrato come il polimorfismo rs9939609 moduli la suscettibilità all’accumulo di peso corporeo. La presenza dell’allele A è associata ad un possibile aumento del peso.

Il gene MC4R codifica per una proteina chiamata recettore per la melancortina-4. L’attivazione di questo recettore sopprime il senso della fame, quindi il suo deficit provoca: ingestione di cibo in eccesso già nel primo anno di vita, aumento dei livelli di insulina e della massa grassa. Nel merito l’allele C è più sfavorevole e predispone all’aumento di peso, infatti è stato dimostrato come i livelli di espressione di MC4R siano correlati con la distribuzione del grasso corporeo e la percentuale di assunzione di energia da carboidrati e grassi.

Il gene Leptin codifica per l’ormone proteico leptina che controlla il peso corporeo, regolando l’assunzione di cibo e dispendio di energia. La leptina è uno dei principali ormoni prodotti dal tessuto adiposo e agisce nella regolazione del bilancio delle risorse energetiche. La leptina arriva nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) attraverso la barriera ematoencefalica mediante un meccanismo di trasporto mediato da specifici recettori. Questo segnale di natura ormonale ha lo scopo di informare il SNC sullo stato di riserve energetiche dell’individuo. Agisce regolando l’apporto alimentare attraverso l’inibizione della sintesi e del rilascio del neuropeptide Y (NPY) che stimola l’appetito. Presenza allele A (Leptin): possibile fattore di rischio cardiovascolare e tendenza all’obesità.

Il NPY, codificato dal omonimo gene, è un potente stimolatore dell’appetito ed ha uno spiccato effetto oressizzante. Tuttavia, livelli elevati di NPY possono provocare ipotensione, ipotermia e depressione dei centri respiratori. È inoltre in grado di provocare vasocostrizione delle arterie cerebrali. La localizzazione di NPY nell’ippocampo lo rende importante nei processi di apprendimento e memoria; in questa regione del cervello è capace di stimolare la proliferazione neuronale, ciò è in accordo con le sue proprietà antidepressive. Presenza allele C (NPY): possibile fattore di rischio cardiovascolare e predisposizione all’aumento di peso

Dieta e genetica: nuove prospettive

AUTORE CRISTIANA LO NIGRO

Articolo scritto dalla Dott.ssa Cristiana Lo Nigro

Già Ippocrate, il padre della medicina, che visse 400 anni prima della nascita di Cristo, aveva ben compreso l’importanza dell’alimentazione per il nostro benessere psico-fisico, tanto da sostenere “Fa’ che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”.

Al giorno d’oggi non soltanto è noto quanto l’alimentazione influisca sullo sviluppo di numerose patologie multifattoriali (malattie cardiovascolari, diabete, tumori), ma si iniziano a conoscere anche le basi molecolari dell’influenza reciproca tra geni e dieta.

La variabilità genetica individuale influenza il modo in cui i nutrienti possono essere assimilati, metabolizzati, accumulati ed escreti: in poche parole, ciascuno risponde a modo suo alle molecole introdotte nell’organismo e, in generale, agli stili alimentari e di vita.

Lo studio delle interazioni tra nutrienti e composti della dieta con i comparti cellulari e le reazioni biochimiche viene approfondito mediante due nuove discipline della genetica e della biologia molecolare: la nutrigenetica (o genetica nutrizionale) e la nutrigenomica (o genomica nutrizionale).

La prima studia l’impatto della diversità genetica degli individui sul metabolismo dei nutrienti e dei composti introdotti con la dieta. Il DNA, che è proprio di ogni individuo, influenza la risposta dell’organismo ai vari alimenti e la conseguente ricaduta sulla salute.

La nutrigenomica studia il rapporto tra DNA e genoma, quindi l’impatto dei diversi elementi (macronutrienti, micronutrienti e composti bioattivi) introdotti con la dieta sul nostro genoma e cerca di comprendere quanto la dieta influenzi l’accensione o il silenziamento del messaggio contenuto nei geni.

A queste discipline recentemente si è aggiunta l’epigenetica nutrizionale che studia le interazioni tra i componenti della dieta e le modifiche dell’espressione genica che avvengono senza modifiche della sequenza del DNA.

Le vecchie conoscenze in ambito di alimentazione ritenevano che una stessa dieta producesse gli stessi effetti su tutti gli individui, ma già nel XX secolo iniziavano a essere individuati alcuni errori congeniti del metabolismo, tra cui la Fenilchetonuria, l’esempio più “classico” di patologia in ambito nutrigenetico.

La fenilchetonuria come altri difetti congeniti del metabolismo, quali la galattosemia, la tirosinemia, la malattia di Wilson, l’ipercolesterolemia familiare, sono condizioni rare e monogeniche, in cui sono le mutazioni di un singolo gene in un singolo individuo a determinare la malattia.

La situazione diventa complessa nelle patologie di tipo poligenico/multifattoriale, in cui la genetica contribuisce solo in parte all’espressione della malattia.

In patologie come l’obesità, il diabete, l’ipertensione, i tumori, ad esempio, il contributo delle varianti genetiche è ancora poco chiaro.

Tuttavia la ricerca in questi ambiti progredisce rapidamente e i recenti approcci mediante le tecnologie di nuova generazione hanno permesso di individuare varianti genetiche/genomiche associate allo sviluppo di determinate malattie o protettive nei confronti delle stesse, ma i dati finora sono ancora parziali e non conclusivi, nonostante gli ampi campioni di popolazione analizzati.

Da questi nuovi campi di studio si auspica che possano scaturire interventi di prevenzione e di cura atti a controllare alcune patologie cronico-degenerative determinate dalla cattiva interazione geni-alimenti, soprattutto mediante la modifica di comportamenti alimentari in alcuni momenti fondamentali della vita dell’individuo. Per esempio, secondo alcuni studi, i primi mille giorni, potrebbero permettere di intervenire in ambito di educazione alla nutrizione per prevenire patologie quali l’obesità infantile e la sindrome metabolica dell’adulto, mediante l’induzione di modifiche genetiche ed epigenetiche.

È ormai accertato che l’interazione di ciò che mangiamo con i nostri geni si ripercuote sul benessere e dal momento che l’interazione degli alimenti con l’organismo dipende dal DNA individuale, si deve tendere il più possibile ad una nutrizione personalizzata.

In ogni settore la personalizzazione delle cure, d’altra parte, è un obiettivo prioritario della medicina contemporanea.

Per concludere ricordiamo che la ricerca è estremamente attiva, con la finalità di rendere sempre più numerose le ricadute pratiche. A tal fine, è auspicabile la collaborazione tra nutrizionisti e laboratori di genetica, per fornire al professionista sanitario il profilo genetico del soggetto, in grado di guidare il consiglio alimentare più adatto per le sue esigenze di benessere e di mantenimento della salute a lungo termine.

Very low carb diets could be incompatible with exercise

dr. M Zanetti

While very low carbohydrate (ketogenic) diets are popular with those trying to lose weight, there are concerns that such diets may not support the desire for exercise. This hypothesis was investigated by a US research team at Arizona State University.

Untrained overweight adults were randomly assigned to a ketogenic diet or a control diet, which was higher in carbohydrates. Both diets were designed to promote weight loss and were consumed for 2 weeks. The macronutrient content of the diets was 5% energy from carbohydrate, 65% from fat and 30% from protein in the ketogenic diet. In the control diet, the respective figures were 40%, 30%, and 30% of energy. Exercise testing was carried out at baseline and at the end of the study.

Average weight loss was similar over the 2-week period for both groups. As expected, subjects following the ketogenic diet demonstrated a large build up of blood ketones, indicating that their bodies were burning fat. Having a high blood ketone level was significantly associated with greater perceived effort during exercise and an increased feeling of fatigue.

The authors concluded that very low carbohydrate ‘ketogenic’ diets could reduce the desire to exercise and, thus, be counter productive for weight management.

For more information, see 
White AM et al (2008). Blood ketones are directly related to fatigue and perceived effort during exercise in overweight adults adhering to low-carbohydrate diets for weight loss: A pilot study. Journal of the American Dietetic Association, Vol 107, pages 1792-96.

RICETTE CON CAROTE TORTA E MELANZANE RAGU

di Dott.ssa Cristiana Lonigro

“Nessuno di noi aveva più fame, ma è proprio questo il bello del momento dei dolci: tutta la loro raffinatezza si coglie solo quando non li mangiamo per placare la fame, solo quando l’orgia di dolcezza zuccherina non soddisfa un bisogno primario, ma ci ricopre il palato di tutta la benevolenza del mondo”.

da Estasi culinarie di Muriel Barbery

Le carote contengono beta-carotene (precursore della vitamina A) che protegge gli epiteli, cioè pelle, mucose e ghiandole ed è un potente antiossidante. Sono ricche di sali minerali tra i quali prevalgono calcio, ferro, fosforo, potassio, magnesio, manganese e zinco.

La carota cotta svolge un’azione lenitiva nei confronti dell’apparato digerente e regolarizza le funzioni intestinali.

ingredienti

400 grammi di carote,

3 uova,

200 grammi di zucchero,

300 grammi di farina (oppure farina di grano saraceno),

1 bicchiere di olio di semi, 1 bustina di lievito, un pizzico di sale.

preparazione

tritate le carote nel mixer e tenetele da parte.

Mescolate insieme uova, zucchero, poi aggiungete l’olio e

 la farina unita al lievito e al sale.

Quando avrete ottenuto un impasto omogeneo mescolateci le carote.

Mettete il tutto in una tortiera foderata di carta forno

e cuocete in forno preriscaldato

a 180° per 20/25 minuti (dipende dal forno che avete). Vale la prova stecchino.

Decorate con zucchero a velo, o zucchero di canna.

Una volta cotta la torta, potete farcirla con marmellata di arance amare.

salto di qualità 80 gr di burro e uvetta

              

A

“Via la soia, niente fagioli azuki, basta col riso basmati. Gorgonzola. Gorgonzola a pranzo e a cena. Sì al bollito misto. Ok alle acciughe al verde. E la mattina appena svegli un bel bicchiere di bagna cauda. Fredda”.

da Col cavolo di Luciana Littizzetto

Il valore nutritivo delle melanzane (di qualsiasi varietà) non è consistente:

contengono infatti poche calorie e una bassa presenza di grassi,

proteine e glucidi.

Sono ricche di acqua, e quindi utili alla diuresi,

potassio, vitamina A e C,

fosforo, calcio, tannino e contengono pochi zuccheri. 

ingredienti

1 melanzana,

2 peperoni,

2 zucchine,

3 carote,

½ cipolla,

2 rape (se grandi, altrimenti 5 piccole),

2 hg di zucca,

2 hg di cavolo nero o verza,

3 patate,

3 pelati o 5 cucchiai di passata rustica,

1 cucchiaio di brodo granulare o dado o preferibilmente brodo vegetale fatto in casa con cipolla, carota e sedano,

olio d’oliva,

qualche pizzico di sale,

peperoncino o tabasco rosso a piacere

preparazione

lavate e asciugate le verdure.

Tagliate in grossi pezzi (indicativamente 1,5 x 1,5 cm)

i peperoni, le melanzane, le zucchine, le rape, la zucca e

le patate e mettete in una padella capiente.

Sbucciate le carote,

tagliatele a rondelline e unite al resto.

Affettate a striscioline la cipolla e il cavolo (o la verza)

e

mescolate insieme agli altri ingredienti,

unendo l’olio

e la passata (o i pelati).

cottura

cuocete stufando con il coperchio; per evitare che le verdure attacchino

 o si brucino,

aggiungete dell’acqua calda, massimo un bicchiere e ½ per volta

e mescolate con garbo.

A metà cottura dosate il dado, il sale e il peperoncino a vostro gusto;

nel caso in cui scegliate di usare il brodo fatto in casa, usatelo al posto dell’acqua calda.

Anche la cottura è soggettiva:

la cottura corretta prevede le carote non troppo molli e

 le patate ben cotte,

la consistenza cremosa nell’insieme,

ma che lasci integro

il sapore di ciascun ingrediente.

Accompagnare a carne, pesce, uova o formaggi freschi.

salto di qualità: il segreto è preparare

il ragù di verdure

un giorno prima e lasciar ‘riposare’ per ventiquattro ore.

Questa pietanza è molto versatile:

eliminando le patate

otterrete un ottimo condimento

per la pasta;

 aggiungendo i ceci,

potrete servire un cous cous vegetariano;

con ricotta, uova e pasta brisée

(meglio eliminare le patate in questo caso)

 otterrete

una saporita torta di verdure.

 

IL CIOCCOLATO E’ UN PIACERE

Dr.ssa Cristiana LoNigro

Il cioccolato è un piacere che sfiora il sublime, e su questo sono tutti d’accordo, ma fa bene o male alla salute umana? La vexata quaestio sulle sue proprietà benefiche o sugli eventuali rischi risale al XVI secolo, quando gli Spagnoli importarono il cacao dal Messico. Esiste tutta una letteratura che racconta le fasi più salienti della disputa, ma a che punto siamo oggi? C’è chi ritiene che faccia ingrassare e causi disturbi fastidiosi, come colesterolo, carie, brufoli, orticaria e chi, invece, lo difende come antidepressivo e alleato contro le malattie cardiocircolatorie. Prevalgono i sostenitori o i detrattori?

Oggi probabilmente prevalgono i primi, sempre che si parli di un consumo sobrio dell’alimento e non si pensi ad un uso terapeutico del cacao, anche se oggi ci si imbatte in una vera giungla di prodotti farmacologici, dietetici e dedicati all’igiene del corpo, che hanno il cacao tra gli ingredienti. Gli effetti benefici si dovrebbero avere con un consumo quotidiano che si aggiri sui 30-60 g di cioccolato nero. Naturalmente si devono astenere dal consumarne color che sono in sovrappeso o che abbiano sviluppato un’allergia per l’alimento. Le donne in gravidanza possono consumarne ma con moderazione per non arrecare danni al feto, così come devono limitare l’assunzione di caffeina.

L’11 aprile 1999, nell’Aula Magna dell’Università di Pavia si tenne addirittura un bizzarro “Processo al Cioccolato”, messo in scena dal Rettorato dell’Ateneo e da Chococlub (Associazione Italiana Amatori Cioccolato). A favore dell’imputato, di fronte all’Alta Corte di Gola ed Accidia, avevano testimoniato nutrizionisti e accademici, che ne avevano ricostruito le vicende storico-letterarie e analizzato le proprietà chimico-fisiche e organolettiche. Memorabile l’incipit della Difesa: “Il cioccolato è divino, morbido, sensuale, profondo, nero, sontuoso, gratificante, potente, denso, cremoso, seducente, suggestivo, ricco, eccessivo, lucente, levigato, lussurioso, celestiale. Il cioccolato è rovina, gioia, piacere, amore, estasi, fantasia…”.

Il processo si concluse con assoluzione piena.

Al terzo posto nel mercato mondiale, dopo lo zucchero e il caffè, il cacao (Theobroma cacao L.) ha riscattato le sue proprietà nutrizionali. Negli anni, infatti, la ricerca scientifica internazionale ha dimostrato che è un alimento ricco di principi nutritivi, con proprietà che fanno bene all’organismo. Nfi (Nutrition Foundation of Italy, Centro studi dell’alimentazione) ha aperto un tavolo di discussione sul cioccolato facendo il punto in campo scientifico, nutrizionale e tecnologico.
Il cioccolato è costituito principalmente da carboidrati, soprattutto zuccheri semplici, e da lipidi, questi ultimi rappresentati essenzialmente da acidi grassi saturi (ac. Palmitico, ac. Myristico, ac. Laurico e ac. Stearico, che ha un effetto colesterolemico neutrale; nel fondente e nel cacao non c’è colesterolo, contro i 16 mg/100 g del latte). Tra i sali minerali vi sono in buona quantità fosforo, potassio, calcio, magnesio e ferro.

L’attenzione si sta estendendo a tutte le 850 componenti del cacao (!) e le smentite dei luoghi comuni sono sorprendenti.

Basta fare una ricerca Medline in Pubmed (banca dati delle pubblicazioni mediche italiane) con le parole chiave “cioccolato e salute” per accorgersi di come stiano moltiplicandosi studi e ricerche sul tema. In particolare:

  • studi su cacao, cioccolato ed apparato cardiovascolare, sul ruolo dei polifenoli ed antiossidanti ed anti-invecchiamento del cacao;
  • studi sugli effetti anti-infiammatori dei flavonoidi (polifenoli e tannini) del cacao;
  • relazione con il rischio di sviluppare tumori e possibile effetto chemiopreventivo legato al consumo di cacao (mammella, vescica… in Annali of Oncology);
  • studi di selezione degli ibridi della pianta del cacao, agronomia e sicurezza alimentare (rischio salmonella ed ocratossina, per esempio…);
  • craving (letteralmente: appetizione compulsiva) e dipendenza psicologica da cacao, più “droga” che cibo per il “cioccodipendente”, che non riesce a controllarsi e deve assolutamente  finire la scatola di cioccolatini appena iniziata.

Un rapido excursus tra gli effetti del cioccolato, in ordine alfabetico:

Cioccolato e allergie

I soggetti che soffrono già di allergie (asma, riniti, orticaria) possono essere suscettibili di reazioni allergiche da cioccolato, non tanto per il cacao quanto per via degli ingredienti che ad esso sono aggiunti, come nocciole, albume d’uovo ecc. In una scala decrescente di alimenti che possono scatenare reazioni allergiche il cacao viene dopo pesce, uova, crostacei, latte vaccino, sedano, fragole, leguminose, farina di grano, arachidi, carne di manzo e patate. Solo i produttori di cioccolato che rinunciano completamente a determinati ingredienti come nocciole, grano o latte di mucca possono garantire un cioccolato assolutamente innocuo per le persone allergiche.

Cioccolato e acne

È ormai noto che i regimi alimentari non giocano un ruolo primario nei pazienti affetti da acne. Il consumo del cioccolato clinicamente non influisce sull’evoluzione dell’acne e biologicamente non influisce sulla produzione del sebo, la cui variazione è dovuta soprattutto agli ormoni androgeni.

Cioccolato e amore

Cento grammi di cioccolata contengono circa 1 mg di feniletilamina, sostanza dagli effetti simili all’LSD, e la fenilalanina e tiroxina, che vengono utilizzate dal nostro organismo per produrre dopamina e noradrenalina, importanti mediatori del sistema nervoso centrale, in grado di indurre un senso di benessere.

I famosi poteri afrodisiaci del “cibo degli Dei” possono essere collegati alla feniletilamina, la stessa sostanza chimica che produce il cervello quando siamo innamorati, dandoci una sensazione di ebbrezza e felicità. Ne era convinto Giacomo Casanova che faceva recapitare alle dame da sedurre omaggi di cioccolata. Anche Gabriele d’Annunzio, grande amatore, prima di ogni incontro, si saziava di cioccolato fondente e l’imperatore Montezuma ne consumava fino a cinquanta tazze al giorno per soddisfare le donne del suo harem.

Cioccolato e capillari

I bioflavonoidi contenuti nel cioccolato favoriscono la circolazione sanguinea e migliorano l’elasticità delle pareti dei capillari[1].

Cioccolato e carie

La carie si sviluppa tramite l’azione dello Streptococcus Mutans, che determina la formazione della placca all’interno della quale gli zuccheri vengono trasformati in acidi e provocano la corrosione dello smalto. Ebbene, nonostante si pensi il contrario, il cioccolato fondente (che contiene meno zucchero) consumato moderatamente, possiede potere anticariogeno, grazie a tre sostanze: i tannini contenenti il 6% di polidrossifenolo, che inibisce lo sviluppo di batteri; il fluoro, presente nella concentrazione di 0.05 mg/100 g, che preserva i denti da processi cariogeni; i fosfati, che agiscono contro gli acidi formati dal metabolismo degli zuccheri[2].

Cioccolato e cefalea

Il cioccolato contiene la feniletilamina e la tiramina, che scatenano la cefalea in soggetti predisposti, per cui è possibile in teoria che il cioccolato possa provocare emicranie e altre forme di mal di testa, soprattutto se assunto in modo smodato.

Cioccolato e colesterolo

Uno studio condotto dai dietologi dell’Università della Pennsylvania sostiene che non solo non esiste traccia di colesterolo nel cacao e nel cioccolato fondente (mentre 100 g di cioccolato al latte contengono 16 mg di colesterolo), ma che addirittura il consumo quotidiano di 22 g di polvere di cacao o di 16 g di cioccolato fondente potrebbe ridurre il tasso di colesterolo nel sangue del 10%. La preoccupazione per l’alto contenuto in grasso saturo, dovuto alla presenza di acido stearico, non ha fondamento perché i trigliceridi stearici non sono assorbiti al pari degli altri grassi ma vengono escreti con le feci.

Cioccolato e cuore

Alcuni studi presentati a congressi scientifici hanno ipotizzato che alcune sostanze naturalmente presenti nel cacao, come i polifenoli (flavonoidi, epicatechine, proantociadine e tannini) possano aiutare a combattere il fenomeno dell’ossidazione e contribuire a difendere la salute di arterie e cuore.[3]

Sembra che il consumo moderato di cacao migliori la risposta vascolare nei fumatori.

Cioccolato e dieta

Il cioccolato è un alimento calorico per il suo contenuto di grassi e zuccheri e va consumato con moderazione. Una tavoletta di cioccolato fondente da 100 grammi fornisce 542 calorie, se è al latte le calorie salgono a 565. 100 grammi di pasta condita con pomodoro ed olio ne forniscono circa 470, una fetta media di torta al limone 416. Chi è stato a dieta sa la grande importanza psicologica di concedersi qualche piccola trasgressione per continuare con un regime ipocalorico. Un quadratino di cioccolato fondente fornisce le stesse calorie di una mela, ma dà tanto piacere e non solo al palato.

Cioccolato e digestione

Il cioccolato è un alimento facilmente digeribile, per cui può essere concesso tranquillamente ai bambini, sia pure non prima dei 2-3 anni. La durata di permanenza di 200 g di cioccolato nello stomaco è tra le più basse: da una a due ore al massimo, lo stesso tempo richiesto da acqua, te, caffè, vino e birra.

Cioccolato e dipendenza

Sembra che il cioccolato possa dare dipendenza, (viene chiamata cioccolismo per assonanza con alcoolismo), perché contiene sostanze come la caffeina, presente in modiche quantità, suscettibili di creare questo problema. Sicuramente crea dipendenza psicologica[4].

Cioccolato e invecchiamento

Alcuni polifenoli contenuti nel cacao avrebbero un effetto antiossidante.

Gli studi su questo argomento sono ancora in corso, ma sembra assodato che i polifenoli esercitino effetti antinvecchiamento sull’organismo e potenzino il sistema immunitario. A questo proposito è bene ricordare che la tazza di cioccolata va preparata, però, con pochissimo latte, che inibisce l’attività antiossidante.

Cioccolato e ipertensione

L’assunzione regolare di cibi contenenti cacao potrebbe abbassare la mortalità cardiovascolare[5].
Infatti si è osservato che alti dosaggi di cacao assunti per almeno due settimane migliorano la funzionalità endoteliale e riducono la pressione sanguigna, sempre grazie all’azione dei polifenoli. Alcuni ricercatori dell’Ospedale Universitario di Colonia, in Germania, nel 2007[6], hanno esaminato l’effetto di bassi dosaggi di cioccolato nero, ricco di polifenoli, sulla pressione sanguigna ed hanno rilevato che, dopo 18 settimane di somministrazione,  la pressione si era abbassata moderatamente nei 44 soggetti esaminati, di età compresa tra 56 e 73 anni, 24 donne e 20 uomini, con preipertensione o ipertensione di stadio 1.

Cioccolato e memoria

Il cioccolato è un amico della nostra memoria. Contiene il doppio del fosforo rispetto al pesce, pari a 0,62 grammi per ogni etto, oltre ad avere tra i suoi componenti anche l’acido fenico che protegge le arterie dall’ispessimento. Inoltre le metilxantine, soprattutto la teobromina e la caffeina, tengono svegli, aumentano la concentrazione, migliorano le capacità intellettive, la facoltà di ricordare e la prontezza di riflessi.

Cioccolato e ossa

Il cioccolato, in particolare quello al latte, contiene un quantitativo di calcio, minerale fondamentale per la salute delle nostre ossa, quasi il doppio rispetto a latte e yogurt. Nel cioccolato, infatti, sono contenuti circa 263 mg di calcio per 100 g, mentre solo 119 mg nel latte e 125 mg nello yogurt.

Cioccolato e pelle

Recenti studi hanno sostenuto che il consumo di una tazza di cioccolata amaro protegge la pelle dai raggi Uv, migliorando lo stato di idratazione e prevenendo la comparsa di eritemi.

Cioccolato e stress

Il cioccolato è un alimento particolarmente adatto per chi svolge attività sportiva e per chi è sottoposto a stress emotivi. Infatti la teobromina e la caffeina agiscono sul sistema nervoso e a livello cardiovascolare e muscolare, aumentando la concentrazione mentale e la resistenza fisica. In tal senso, inoltre, agiscono anche la presenza rilevante di ferro, magnesio, fosforo, potassio, calcio e la bassa presenza di sodio.

Cioccolato e tosse

Secondo una recente ricerca del National Heart and Lung Institute (London) la teobromina, sarebbe molto efficace nel prevenire e curare la tosse. La teobromina, nei test condotti su 100 persone con la tosse, si è dimostrata, infatti, molto più efficace della tradizionale codeina, ingrediente “principe” dei più diffusi rimedi anti-tosse. Così, almeno, hanno dichiarato gli scienziati britannici[7].

Cioccolato e tumore

Le procianidine (molecole contenute nel cacao) proteggerebbero le cellule da degenerazioni tumorali, secondo una serie di test effettuati da scienziati della Georgetown University di Washington con una versione sintetica delle procianidrine (le GECGC), dai quali sembra emerso un effetto positivo su quattro tumori, in particolare in due varietà di cancro all’intestino, dove la sostanza è riuscita a rallentare del 50% la crescita tumorale[8]. Risultati interessanti in tal senso avrebbe ottenuto anche un gruppo di ricercatori della California University[9]..

Cioccolato e umore

“Il cioccolato favorisce il buon umore” non è soltanto lo slogan dei golosi, perché si basa su un fondamento scientifico. Infatti esso agisce da catalizzatore facilitando la produzione di beta-endorfine, ossia oppioidi prodotti naturalmente dal cervello, che agiscono in modo simile alla morfina, stimolando la sensazione di euforia ed attenuando il dolore. Contiene il triptofano, un aminoacido che stimola la produzione di serotonina, un neurotrasmettitore con azione inibitoria in grado di infondere calma e tranquillità.

Chi è ansioso e depresso, ma anche la donna nel periodo del ciclo mestruale, ricerca con maggiore frequenza qualcosa di dolce e spesso il cioccolato, forse anche per il fatto che in tale periodo si ha una significativa deficienza di magnesio, di cui il cioccolato è ricco.

Secondo alcuni ricercatori dell’Università di Helsinki, che hanno seguito durante la gestazione 300 donne in attesa, il consumo di cioccolato in gravidanza favorirebbe la serenità a la vivacità del nascituro.

E per concludere una curiosità: di fronte all’infuriare delle epidemie di vaiolo, nella Boston del ‘700, Benjamin Franklin consigliava di mangiare cioccolato, come raccontano due studiosi americani (cfr. Louis Evan Grivetti – Howard-Yana Shapiro, in “Chocolate. History, Culture and Heritage, Hardcover marzo 2009). Funzionerà anche per l’influenza aviaria o suina? Nel dubbio un quadretto di cioccolata ci terrà su il morale e non ci farà avere brutti pensieri…

 CIOCCOLATO FONDENTECIOCCOLATO AL LATTE
   
CARBOIDRATI5448.4
PROTEINE5.88.9
GRASSI3437.6
ACQUA1.11.7
COLESTEROLO016
SODIO11120
FIBRE8.08.0
CALORIE545568

[1] Hanno compiuto studi sui flavonoidi del cacao, tra glia altri, studiosi dell’Università di Dusseldorf, in Germania, della University Davis in California e  della Harvard Medical School coordinati da Hagen Schroeter.  Cfr. www.molecularlab.it

[2] “I ricercatori bostoniani del mitico MIT, il Massachussets Institute for Technology, hanno […] scoperto che il cacao produce addirittura proprio un potente inibitone della carie!”. Cfr. www.medicinalive.com

 “Il cacao non favorisce la formazione di carie. Anzi alcuni studi fanno pensare che in esso siano presenti sostanze (i tannini) in grado di inibire la crescita batterica, di ridurre il processo di demineralizzazione che è alla base dello sviluppo della carie e di ridurre la formazione della placca” Cfr. Chiara Trombetti in www.humanitasgavazzeni.it

[3] 2000: congresso Società Europea di Cardiologia ad Amsterdam; 2003: studio dell’Istituto Nazionale Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione di Roma; 2005: ricerca condotta nell’ospedale Hippokration di Atene; 2007: studio di Roberto Corti dell’University Hospital di Zurigo.

[4] Il problema è noto da tempo: cfr. Weingarten HP, Elston D., 1971. Food cravings in a college population: A questionnaire study. Appetite 15, 167-175.

[5] Buijsse B, Feskens EJ, Kok FJ, Kromhout D. Cocoa intake, blood pressure, and cardiovascular mortality: the Zutphen Elderly Study. Arch Intern Med. 2006 Feb 27;166(4):411-7.

[6] Cfr. Taubert D. et al, JAMA 2007; 298: 49-60

[7] Cfr. la rivista “Federation of American Societies for Experimental Biology Journal” (DOI:10.1096/fj.04-1990fje).

[8] La notizia è riportata dal tabloid britannico Daily Express del 7 luglio 2008. Cfr. www.molecularlab.it

[9] Cfr. Kenny TP et al, Exp Biol Med 2004; 229: 255-263 e

OBESITA’ SOVRAPPESO, APPROCCIO MULTIPLO

L’obesità è una patologia cronica la cui diffusione è in continuo aumento, sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo (Calle EE, Kaaks R. 2004). L’obesità è più frequente nelle donne che negli uomini, sembra colpire maggiormente le fasce d’età più avanzate, con picco tra 65-75 anni, tuttavia è in crescente aumento quella infantile e adolescenziale; ad esempio, in  Italia si stima che vi sia un 4% di bambini obesi, mentre ben il 20% è sovrappeso. Questo dato sull’obesità infantile è preoccupante perché potrebbe essere responsabile, per la prima volta nella storia dell’umanità, di una riduzione dell’aspettativa di vita nelle nuove generazioni.

Approcci differenti sono stati utilizzati al fine di studiare geni di suscettibilità all’obesità; in particolare, sono stati analizzati geni e proteine che regolano appetito e sazietà (colecistochinina, neuropeptide Y, melanocortina e leptina), sensibilità insulinica e metabolismo glicidico nel  muscolo e in altri tessuti periferici (insulina e recettore dell’insulina), geni che regolano il metabolismo del tessuto adiposo (lipoproteina lipasi) e la spesa energetica (AMP-activated protein kinase).

Associazioni significative sono state riscontrate per comuni polimorfismi nei geni per i recettori beta-adrenergici, per il PPARγ (Peroxisome Proliferator- Activated Receptor gamma), per la leptina e il suo recettore, per le proteine UCP (Uncoupling Protein1-3) e per il TNFα (Tumor Necrosis Factor alpha).

Varianti alleliche di questi geni possono favorire l’insorgenza dell’obesità; tuttavia, una singola mutazione raramente è responsabile di questa patologia (1-4% dei casi); nella maggior parte dei casi essa è dovuta all’interazione di più geni predisponenti con l’ambiente.

Un ruolo molto importante nello sviluppo dell’ obesità è svolto dagli ormoni che regolano la fame e la sazietà. Ne possiamo identificare due tipologie di ormoni che regolano la fame nel breve e nel lungo termine. Tra quelli a breve termine si può considerare l’esempio della ghrelina. La ghrelina è un ormone prodotto dalle cellule del fondo gastrico in condizioni di digiuno. Tra le sue azioni principali c’è l’induzione di appetito nei nuclei ipotalamici. In condizioni di dilatazione dello stomaco in seguito all’assunzione del cibo, viene inibita la produzione di ghrelina, riducendo in tal modo lo stimolo appetivo.

Di altro tipo sono gli stimoli ormonali che partono dal tessuto adiposo. Infatti, l’accumulo progressivo di lipidi nelle cellule adiposa determina un aumento della produzione di leptina e di altre molecole azione pro-infiammatoria (come ad esempio di citochine come interleuchina-6 e TNF-alfa). La leptina è un ormone con attività anoressizzante legandosi a neuroni specifici nei nuclei ipotalamici. Di contro, si riduce la produzione di adiponectina, un ormone con funzioni insulino-sensibilizzanti e di protezione cardiovascolare.

L’obesità è un fattore di rischio per varie patologie tra le quali il diabete mellito di tipo 2, l’ipertensione, le malattie cardiache, l’ipercolesterolemia e l’infarto. Anche alcune patologie non mortali ma invalidanti, come l’osteoartrite, l’apnea ostruttiva del sonno e patologie psichiatriche presentano una correlazione con l’eccesso ponderale

L’obesità aumenta il rischio generale di cancro, ed è fortemente associata con alcune neoplasie tra cui il cancro della prostata, della cervice uterina, della mammella, linfomi Non Hodgkin e tumori del tubo digerente. Una metanalisi evidenzia come, in Europa, 72.000 casi di cancro ogni anno siano attribuibili ad un eccesso ponderale

Nei soggetti diabetici, l’insorgenza del cancro può essere dovuta sia a meccanismi che ne promuovono l’inizio o la progressione – le cui alterazioni influenzano poi gli altri tessuti – sia a meccanismi sito-specifici che influenzano la carcinogenesi di un particolare organo (Vignieri et al. 2009).

Capite benissimo che per trattare e combattere l’eccesso di peso, se esso non dovesse dipendere esclusivamente dall’errato stile di vita, come in molti e per la maggior parte dei casi è , bisogna adottare un sistema a multi livello che si basa su una serie di test diagnostici, come ad esempio il glucosio a digiuno e il livello di insulinemia a digiuno e fare una relazione con gli indici HOMA che in base a questi dati ci permettono di predire una certa insulino resistenza con valori che dovrebbero essere inferiori al 2,5. Poi bisognerebbe fare riferimento a una analisi ormonale completa di ormoni quali la leptina che e’ l’ormone che regola la sazieta’, la grelina che regola la fame, l’adiponectina che migliora la sensibilita’ dei tessuti all’insulina, oltre al colesterolo, ai trigliceridi e alle transaminasi, in quanto un’alterata glicemia porta nel tempo ad avere anche problemi di natura epatica.

Per non parlare dei recenti test genetici accennati prima che sono predittivi di una predisposizione a numerose malattie e che con una alimentazione preventiva possono essere fortemente rallentati nell’insorgere

Buona giornata

CIBI STRANI

a cura della Dott.ssa Cristiana Lo Nigro Genetista e Biologa della Biossport

In attesa di scoprire cosa ci riservi il futuro in fatto di alimentazione, ecco un tour sui cibi più strani incontrati nei miei viaggi.

Incominciamo dagli insetti: secondo la Fao ogni persona ingerisce circa 300-500 grammi all’anno di insetti, contenuti come corpo estraneo in altri cibi, mentre sono oltre due miliardi le persone che nel mondo mangiano insetti di 1900 specie diverse: ortotteri (cavallette e grilli), coleotteri (maggiolini), imenotteri (vespe e api), lepidotteri (farfalle) ecc. Vengono serviti nelle forme più varie, dalle fritture alle zuppe, agli spiedini e sono ricercati perché ricchi di proteine, fibre, vitamine colesterolo buono e minerali. Il loro allevamento è eco sostenibile,  richiede meno terra e cibo rispetto a quello del bestiame.

Le locuste sono il tipo di insetti più consumato, perché oltre ad essere numerose e facili da catturare sono ricche di proteine, con un sapore neutro che si abbina a tutto.

Le formiche sono dolci, con una sfumatura che ricorda le noccioline, mentre le cimici sanno di mela e le larve di falena hanno un gusto piccante

In Sardegna si consuma da sempre il casu marzu, cioè pecorino marcio con larve di mosca che saltellano in bocca

A Singapore ho visto il mercato degli insetti, dove si offrivano anche spiedini di ragni giganti e larve.

Passando ad altre specie in Vietnam si prepara una minestra con nidi di rondine, un ammasso di saliva, piume, alghe e fibre vegetali, che fa vomitare.

La zuppa di nidi di uccelli, piatto tipico della cucina cinese, è considerata un toccasana per la salute, in grado di rafforzare il sistema immunitario e di far aumentare la libido. I nidi più prelibati sono quelli creati dagli uccelli della famiglia degli Apodidae: piccoli rondoni che vivono soprattutto in Asia e creano i loro nidi con una saliva gommosa che all’aria si indurisce e si può modellare.

In Cina viene apprezzata la carne fine del serpente e del pitone, che però ha un sapore forte e viene marinata con agrumi.

I ricconi del paese si permettono, a mille euro al pezzo, la salamandra gigante, l’anfibio più grande del mondo, lungo fino a due metri, dalle carni delicate che si consumano stufate o in zuppa.

Per favorire la virilità si mangiano i testicoli di capra e il pene d’alce estratto dall’animale ancora vivo per mantenerne le proprietà.

L’elenco di alimenti della tavola cinese con proprietà terapeutiche è lunghissimo: le ossa di tigre per il vigore dello scheletro, lo spezzatino di gufo per la vista, il cervello di scimmia per combattere l’impotenza.

Molto diffusa la carne di cane in diversi paesi del mondo (in Asia orientale, dai tempi di Confucio, e in Oceania) dove alcune razze canine vengono allevate ad uso alimentare. Per noi il cane è l’amico dell’uomo e il tabù culturale ne impedisce l’uso.

Per chi non teme di infrangere barriere e possiede un palato ardimentoso il mondo animale offre in tutto il mondo carni alternative ricche di proprietà alimentari: dalla renna della Scandinavia, allo squalo marcio dell’Islanda, agli animali dell’Africa (coccodrillo, struzzo, cammello e zebra).

La sfida alimentare incombe: siamo pronti a sostenerla?